“O maèstr…”. A Scampia guida i sogni dei ragazzi

Nel quartiere di Napoli, molte volte nelle cronache per motivi di disagio e violenza, un insegnante ha ideato una scuola speciale per dare vita al sogno di felicità di tanti ragazzi

Napoli, Scampia: uscita della metropolitana. Un gruppo di ragazzini passa il tempo a sfottere i passanti. Poi uno di loro si ferma, osserva attentamente ed esclama “Ma tu sei o’ maèstr!”. Sorride Enrico, lui milanese con il pallino della scuola “buona”, quella che non lascia indietro nessuno, che raccoglie “quel che resta”, ricuce, riorienta. “O’ maestr” a Scampia arriva nel 2004 e da 11 anni insegna, tra l’altro, in una scuola “elitaria”, quella di CasArcobaleno, scuola di seconda opportunità, promossa dai lasalliani insieme alla cooperativa Occhi Aperti, che ad oggi ha recuperato ed accompagnato alla licenza media oltre 130 ragazzi. Dura la selezione: due volte bocciati e segnalati dai servizi sociali. “Abbiamo alcuni ragazzi Rom. Altri con il papà in carcere per lungo periodo” spiega. “Uno ha vissuto atti di bullismo e non era più stato a scuola. C’è chi è appassionato di calcio, ma anche un ragazzo che è un gran pasticcere e tiene in camera tutto quanto occorre per sfornare torte dolci e salate”. Li conosce uno ad uno i suoi ragazzi, quelli di cui ha imparato a comprendere ferite e sogni, per tracciare insieme possibili strade nuove.

In questa periferia la scoperta di un vero tesoro”
La prima visita il 20 aprile di 11 anni fa: “veloce, ma scioccante: palazzi enormi, fatiscenti, un senso di desolazione di abbandono, la presenza di tossicodipendenti ovunque che in molti casi si drogavano alla vista di tutti. Sono arrivato, come fece San Giovanni Battista de La Salle, fondatore dei Lasalliani, che andò a vivere nella periferia di Reims, sua città natale, per vivere con i primi maestri, con cui poi costituì la prima comunità delle future scuole cristiane”. Diverse le città esplorate al Sud: Bari, Palermo e Napoli. Poi la scelta e la richiesta dell’allora Cardinale Giordano di venire proprio a Scampia. Un piccolo appartamento al 10° piano. “Ricorderò sempre la benedizione di una mamma, mentre eravamo in ascensore: che bello, mi disse, sapere che ci sono dei fratelli che vogliono venire a vivere con noi! Una vera Parola di Dio, un’ispirazione dello Spirito, un’ autentica chiamata. Pensavo di dover portare Dio, ma in realtà Dio era già presente, anzi ci attendeva, ci precedeva, come fa sempre. Qui a Scampia abbiamo imparato nella carne che i Poveri non sono solo i nostri Maestri, ma anche i nostri Salvatori. Scampia è roveto ardente: ci si avvicina per curiosità e si sente la chiamata divina a togliere i sandali e farsi guidare dal Dio vivo, Dio del presente che ascolta gemiti, pianti, urla dei poveri, suoi prediletti, e chiede un impegno, una scelta di liberazione, che lui stesso sostiene. Scampia è un posto dove si comprende che la Buona Notizia di Gesù e le beatitudini, sono evidenti”.
Così Fratel Enrico diviene gradualmente padre di una generazione senza padri. “Strana coreografia”, proprio lui, nato a Milano nel 1966 e subito adottato: “la grazia di avermi fatto nascere, da parte dei miei genitori naturali. Poi il dono di una mamma ed un papà fantastici che hanno saputo accogliere e crescere questo figlio desiderato, che la natura non sembrava poter dar loro. Una vita amata gratuitamente e che gratuitamente hanno ridato a Dio, senza pianificarlo”. Vie della Provvidenza. Pensare che da grande sognava di divenire un ballerino classico! A 18 anni un’audizione ed una borsa di studio di due mesi all’Academie Princess Grace di Montecarlo, raggiunta dopo la maturità: “Esperienza bellissima. Mi sentivo al posto giusto e durante quel periodo ogni mattina mi capitava di recarmi in una chiesa sul porto di Montecarlo per vivere dei momenti di preghiera. Non ero un ragazzo che partecipava alla vita parrocchiale, ma mi piaceva fare volontariato e ho sempre accettato l’invito a ritiri spirituali proposti dalla mia scuola lasalliana, il liceo Gonzaga di Milano. Prima di partire ero andato a confessarmi nel duomo e un saggio sacerdote, di cui non so assolutamente nulla, come penitenza mi disse di leggere il capitolo 15 del Vangelo di Giovanni. Il mio professore di religione, fratel Gabriele Mossi, ci aveva fatto appassionare alla lettura del Vangelo tanto che, fra le cose che avevo portato a Montecarlo, c’era anche quello. Lessi il capitolo: “la vite e i tralci… Senza di me non potete far nulla… Rimanete nel mio amore”. Sapevo che in quella vacanza avrei dovuto decidere cosa fare della mia vita: continuare l’accademia a Montecarlo, perché la borsa di studio era stata rinnovata per tre anni, fare l’università o altro. La preghiera quotidiana e la compagnia di Dio, anche nella sua Parola, mi hanno fatto nascere un desiderio che esprimevo così: “Voglio vivere per Dio”.
Non sapevo come realizzarlo e naturalmente il mio migliore amico non sapeva aiutarmi; mi rivolsi al mio insegnante di religione, un lasalliano, che mi ascoltò e mi propose di vivere un breve tempo in comunità: Ho vissuto l’esperienza della fraternità che per me, figlio unico, è stata intensa e coinvolgente. Così ho cambiato palcoscenico: non più per me e per l’arte, ma per Dio, con e per i Poveri, quei ragazzini che hanno tutti i diritti di vivere felici, di essere fortunati come lo sono stato io. In tutto questo, ora, il mio coreografo è sicuramente Dio”.
Insegnante di religione in ogni scuola di ordine e grado – da quella professionale alla Casa di Carità di Torino – animatore pastorale, Enrico diviene semplicemente “fratello”, “niente di più”. Pro-vocazioni, continue: “durante i campi scuola quelle dei ragazzi sulla ricerca di Dio, che chiedevano ragione della speranza che era in me; quelle degli allievi della Casa di Carità, la scuola professionale, così a contatto con la realtà; con i ragazzi della buona borghesia torinese che cercavano punti di riferimento per gli affetti, le relazioni, per andare al di là di quel perbenismo che molte volte li chiudeva in loro stessi. Ancora i ragazzi del doposcuola La Salle, a contatto con la povertà, l’assenza d’istruzione, l’analfabetismo, lo sfruttamento e la discriminazione della donna. Tutti mi hanno toccato il cuore, tutte e tutti sono un bagaglio ricchissimo per me”. Tra i tanti Alessandro, “un bambino rom che non ha nulla, povero, veramente misero, che per il suo compleanno ha chiesto un libro che parla di Dio con fumetti.” Un altro bambino Rom “che il 9 agosto 2014 mi ha domandato: Enrico mi porti a scuola? I tanti miei allievi che ce l’hanno fatta, sono stati contenti di loro stessi. Luigi che malgrado abbia una scrittura da terza elementare s’impegna come non mai a scrivere e a partecipare. Il primo che ho aiutato a fare l’esame di licenza: un papà molto buono, dolce, che vive in miseria e spaccia per mantenere la famiglia. E poi i tanti ragazzi e ragazze dell’Istituto De Merode di Roma che vengono a Scampia e trovano grazia vivendo una vita essenziale, anche faticosa, al servizio degli altri scoprendo la bellezza del donarsi e dell’impegnarsi per trasformare vite attraverso il servizio educativo”.

Per una scuola veramente “buona”

Anche quest’anno a CasArcobaleno è suonata la campanella per una seconda opportunità. Altri 20 ragazzi sono tornati sui banchi di scuola. Programmazione basata sui moduli e adattata all’andamento del gruppo, rimodellata secondo le necessità. Sei uscite territoriali e cinque settimane di accoglienza di gruppi di pari. Poi i laboratori quotidiani: fotografia, orto, cucina, manualità ed orientamento.
Ma come? “Bisogna rinnovare i docenti: è il clima della comunità educante che trasforma la realtà e fa percepire gli alunni amati, attesi e desiderati, quel sei prezioso ai mie occhi, come dice la Parola di Dio”. Rimettere in gioco la manualità come arte per apprendere: “la scuola sembra concentrata sul sapere intellettuale. La poesia nutre un animo che si relaziona con il mondo, ma le mani possono nutrire allo stesso modo l’animo umano nell’atto creativo. Perché – si domanda – oggi saper riparare un motorino non è una competenza che la scuola sa apprezzare e valorizzare ed esser punto d’inizio per un percorso anche culturale?”. Dare infine obiettivi e passi brevi per chi non ha uno sguardo ampio, verificabili puntualmente, sempre pronti a rilanciare oltre. Una scuola che accolga altre figure educative oltre agli insegnanti, “gli educatori per esempio”; che produca solidarietà: “i ragazzi delle superiori imparano tantissimo mettendosi a servizio dei più piccoli”, facendo così di ogni scuola “un centro per tessere nuove e feconde reti territoriali”. Kevin, Alex, Ida, Maria, Luigi, Enzo e tanti altri dal muretto della metropolitana sono scesi da un pezzo. Loro conoscono bene “o’ maèstr a Scampia”. (L.G.)

FONTE – IL SANTO DEI MIRACOLI, febbraio 2017

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